La Corte d’Appello della California ha ritenuto Amazon responsabile dei danni causati dai suoi prodotti

Una sentenza della Corte d’Appello della California ha indicato Amazon come responsabile dei danni causati dai prodotti commercializzati sul suo portale, considerando attivo il suo ruolo nei confronti degli utenti. Tale decisione rappresenta un precedente piuttosto interessante per l’evoluzione dei diritti dei consumatori digitali, in particolare considerato il fatto che l’azienda statunitensenon è un venditore diretto, ma solo un intermediario.

La sentenza della Corte contro l’azienda statunitense

Il 13 agosto 2020 la Corte d’Appello californiana, ribaltando la sentenza di primo grado, ha ritenuto Amazon responsabile di un pericoloso inconveniente causato da un prodotto difettoso presente sul marketplace. L’articolo in questione era una batteria che, dopo alcuni mesi di utilizzo, è letteralmente esplosa nelle mani del suo acquirente, causandogli importanti ustioni.
La batteria era venduta da un terzo, dunque Amazon ha effettuato solo la spedizione, mettendo in contatto offerente e consumatore. L’azienda statunitense, tuttavia, è anche un marketplace, ovvero una grande vetrina online che può essere sfruttata da chiunque desideri fornire la propria merce ad un utilizzatore finale. Nel primo caso, infatti, la transazione avviene tra Amazon e l’acquirente, mentre nel secondo l’Internet company si limita a mettere a disposizione dei merchant un luogo virtuale all’interno del quale questi possono offrire dei prodotti. Ed è proprio in riferimento a quest’ultima circostanza che la Corte d’Appello ha espresso la sentenza.

Amazon come parte integrante della catena distributiva

La decisione dell’organo giurisdizionale risiede nella considerazione di Amazon come parte integrante del rapporto e della catena distributiva, in quanto:

  • Ha accettato la vendita del prodotto sul proprio portale;
  • In seguito a una verifica preventiva del prodotto, ha approvato la sua pubblicazione;
  • Ha acconsentivo allo stoccaggio del prodotto all’interno dei uno dei suoi centri logistici;
  • Ha fatto in modo di attirare l’acquirente sul martketplace;
  • Si è occupata dell’imballaggio e della spedizione del prodotto;
  • Ha stabilito i termini dell’offerta di vendita;
  • Ha limitato la comunicazione tra offerente e cliente oscurando le informazioni di quest’ultimo.

La posizione giuridica dell’Internet company e le lacune delle regolamentazioni

Pur essendo innegabile, a questo punto, il coinvolgimento di Amazon, rimane complessa la definizione della sua posizione giuridica: in questo caso, non ha interpretato il ruolo di rivenditore (non ha acquistato la merce), né tantomeno quello di distributore (non possedeva licenze o concessioni del produttore). La sua responsabilità, tuttavia, appare piuttosto evidente in quanto, agevolando e controllando la vendita, ha indubbiamente giocato una parte fondamentale nel perfezionamento dell’affare (anche in considerazione della forza e della fiducia che il suo nome è in grado di esercitare sui consumatori).
La Corte californiana, in questo senso, ha voluto sottolineare la necessità di proteggere gli acquirenti e, allo stesso tempo, porre l’attenzione della giurisprudenza sulle lacune delle regolamentazioni in riferimento alle nuove transazioni economiche del mercato contemporaneo: il caso di Amazon è tanto diffuso quanto unico nel suo genere e, per tale ragione, necessita di un’interpretazione più approfondita.
L’azienda statunitense, da una parte, ha assunto una posizione di prominenza nei confronti dei venditori, limitando il loro rapporto con i clienti. Molti di loro, infatti, sono convinti di acquistare la merce direttamente da Amazon, probabilmente confusi a causa del fatto che l’Internet company vende, a sua volta, diversi prodotti all’interno del proprio marketplace (facendo concorrenza agli altri merchant).

Una sentenza innovativa per il futuro dei business online

I giudici della Corte d’Appello hanno certamente tenuto conto della norma che afferma che l’operatore dei servizi di marketplace non è tenuto a rispondere dei danni causati dai prodotti venduti da terzi, in quanto estraneo al rapporto. Amazon, tuttavia, è stata reputata tutt’altro che estranea e, di conseguenza, anche in considerazione della complessità del suo ruolo nella vicenda, l’impostazione tradizionale della regola sopradetta non è stata ritenuta applicabile al caso specifico.
La singolarità della vicenda risulta quanto mai lampante di fronte a un quadro giuridico che, in generale, tende a deresponsabilizzare molto i marketplace. In Europa, ad esempio, vige la direttiva 31/2000 CE (recepita dal d.lgs. 70/2003), il cui art. 15 sancisce l’assenza, per i provider, di qualsivoglia obbligo di sorveglianza, controllo o ricerca sulle attività che avvengono nei marketplace, imponendo solo un generico dovere di informare la pubblica autorità in caso di illeciti o pratiche a danno del consumatore.
Per la prima volta, dunque, è stata messa in discussione la linea seguita dalle corti di tutto il mondo che si erano espresse in precedenza sull’argomento e il verdetto, inserendosi in un contesto tanto ampio quanto contemporaneo, vedrà certamente la complicità di molte istituzioni schierate da tempo per contestare apertamente i comportamenti dei grandi intermediari online. Questi ultimi saranno tenuti ad adeguarsi alle nuove esigenze legislative e, con tutta probabilità, dovranno trasformare la propria figura superando il mero concetto di intermediario e assumendo maggiori responsabilità di fronte a offerenti e consumatori.
È doveroso specificare, tuttavia, che il sistema americano è piuttosto differente rispetto a quello europeo, in quanto concede una maggiore libertà di interpretazione: a questo proposito, dunque, la trasposizione di tale excursus nella nostra normativa non potrà avvenire se non grazie ad un intervento del legislatore. Ciononostante, il contributo apportato dal giudice statunitense è di fondamentale importanza per il futuro dei business online e fungerà sicuramente da apripista per la trasformazione dei rapporti fra acquirenti, intermediari e venditori.

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